A Liegi l’Hamlet di Ambroise Thomas in versione contemporanea firmata Cyril Teste. Splendida prova del baritono belga Lionel Lhote
Opera a suo tempo di buon successo, complice il rinnovato interesse per Shakespeare durante il periodo romantico che frutterà numerosi lavori da lui tratti, l’Hamlet del 1868 del francese Ambroise Thomas pagherà però presto la colpa di essere stato scritta da un autore ricoperto da onori in patria ma considerato molto convenzionale, quindi messo rapidamente da parte. Invece, a ben guardare, la sua partitura dimostra apertura al nuovo, e non solo per il famoso assolo di sassofono, il primo in un’opera, strumento da poco creato da Adolfo Sax che di Thomas era amico. Tutta l’orchestrazione è assai curata, ricca di soluzioni originali, ad esempio, nella scelta e combinazione degli strumenti, ricca di colori e sonorità, di combinazioni timbriche inedite e sempre variate. Un lavoro accurato che è stato detto, giustamente, da spessore ai personaggi completando il loro profilo tracciato dal libretto. E a Liegi la musica di Thomas è stata ben valorizzata dalla messa in scena essenziale, efficace, con opportuni inserti di riprese in diretta e di video, firmata Cyril Teste e dalla bravura degli interpreti, in primo luogo il baritono belga Lionel Lhote, vero mattatore dello spettacolo, che interpreta un principe di Danimarca più maturo del solito ma non per questo meno attanagliato dai dubbi, una prestazione splendida, convincente, sia vocalmente che dal punto di vista attoriale.
Il regista ha trasposto la vicenda all’oggi e solo semplici corone dorate indossate sugli abiti contemporanei richiamano i ruoli originali, e funziona bene perché il desiderio di potere e ricchezza così come quello di vendetta, oppure il rischio di cadere nella depressione e follia di fronte a situazioni che non si riescono a comprendere e gestire, sono invece sempre attuali. Le scene del designer belga Ramy Fischler girano intorno ad uno spazio tripartito da cornici, e basta poco, un tappeto rosso piuttosto che un letto, delle tende, od dei bicchieri per lo spumante, per creare i diversi ambienti e le differenti sistuazioni. Ma la semplicità degli arredi è arricchita dagli effetti curati da Nicolas Dorémus con riprese in diretta che mettono in primo piano le espressioni degli artisti, accrescendo lo scavo psicologico sui personaggi. Video che riescono poi a rendere la dimensione spettrale in modo elegante e moderno, anche proiettando inaspettatamente la stessa sala del teatro ma vuota. Bellissimo in particolare l’effetto di annegamento di Ophélie interpretata dal soprano belga Jodie Devos, beniamina del pubblico dei connazionali e la cui scena della follia è stata seguita da calorosi applausi, ma che non convince appieno nella parte sia perché la sua recitazione è un po’ monocorde, sia per i suoli limiti d’estensione come soprano di coloratura. Anche lo spettro è interpretato da un belga, il basso Shadi Torbey, ma malgrado ila bella voce e le indubbie capacità tecniche, ha un aspetto troppo giovane per essere credibilmente il padre di Amleto, e non aiuta averlo fatto anche apparire in sala tra il pubblico. Ottimamente scelti invece il baritono-basso francese Nicolas Testé come Claudius, il nuovo re che per salire il trono ha ucciso il fratello, padre di Amleto, e ne ha pure sposato la moglie Gertrude, interpretata quest’ultima dal mezzosoprano Béatrice Uria-Monzon dal bel timbro un po’ scuro con gli acuti facili e luminosi. Completano il cast una serie di altri buoni artisti locali, prestazione buona anche del coro, istruito dal maestro Denis Segond, e dell’orchestra dell’Opéra Royal de Wallonie-Liège, con il sassofonista Thibault Collienne per l’assolo su scena, sul podio il maestro Guillaume Tourniaire,